Asia/Indonesia – Stato e religione in Indonesia: il ruolo della fede nella vita pubblica
Agenzia Fides
Giakarta (Agenzia Fides) – L’Indonesia non è uno Stato religioso ma anche uno Stato laico: come amano dire gli indonesiani, è una “zona di mezzo”, uno Stato che riconosce il ruolo decisivo della religione nella vita pubblica e la considera un importante fattore determinante nella vita della società civile. Ciò non significa che lo Stato debba avere autorità religiosa, né esercitare un’eccessiva interferenza o controllo nella vita delle comunità religiose; Ma ciò significa che lo Stato si pone e agisce come garante della “moderazione religiosa” e dell’armonia interreligiosa.
Nell’architettura della nazione, la possibilità di una forma di teocrazia islamica o la scelta di una “religione di stato unico” fu considerata e poi esclusa nel 1945, alla vigilia della dichiarazione di indipendenza dell’Indonesia, che portò alla costituzione, con libertà dal dominio coloniale olandese.
Nel gruppo di lavoro che ha discusso la “Carta dei cinque principi” (Pancasila) e poi nel ristretto “Comitato dei nove rappresentanti” – formato da rappresentanti del movimento nazionalista e da rappresentanti dei movimenti islamici – si è osservato che “la creazione di uno Stato islamico in Indonesia significa non creare uno Stato unitario (…) e quindi si porrà sicuramente il problema delle minoranze, il problema dei piccoli gruppi religiosi, che non si sentiranno coinvolti nello Stato e quindi gli ideali dello Stato islamico non sono compatibili con gli ideali dello Stato unitario che tutti noi abbiamo tanto atteso. D’altra parte, alcuni sottolineavano che “uno Stato nazionale unificato non significa uno Stato con carattere non religioso”, e si credeva che il progetto di “uno Stato nazionale unificato avesse un alto fondamento morale”.
Ciò ha portato all’accordo espresso nella Carta di Giakarta che ha formalizzato l’accordo di Pancasila, che ha incluso anche l’elemento religioso tra i cinque principi su cui si fondano lo Stato e la convivenza civile: fede in un unico Dio; umanità; solitudine; Democrazia guidata dalla saggezza; Giustizia sociale.
Sin dalla sua indipendenza nel 1947, nell’arcipelago è diffusa la consapevolezza che lo Stato deve occuparsi della religione, elemento essenziale della vita sociale e culturale. Per questo motivo, fin dal primo governo post-indipendenza è stato istituito il Ministero degli affari religiosi, con dipartimenti (ora direttori) dedicati all’Islam, al cattolicesimo, al protestantesimo, all’induismo, al buddismo e al confucianesimo, le sei religioni ufficialmente riconosciute. Queste religioni, come prevede l’articolo 29, comma 2 della Costituzione, “ricevono anche assistenza e sicurezza”. Ciò non significa che le altre religioni (ebraismo, zoroastrismo, shintoismo, taoismo) siano vietate nel Paese: godono di garanzie e libertà di sviluppo, purché non violino leggi e regolamenti applicabili.
Le sei direzioni generali del Ministero degli affari religiosi mirano a fornire servizi governativi ai cittadini e sostenere tutte le sette religiose. Ogni direzione si occupa anche dell’educazione religiosa: regola e supervisiona direttamente le istituzioni educative che appaiono come “istituzioni religiose statali”, una formula che non contraddice la visione indonesiana. In effetti, questo impegno è fondamentale per garantire una visione di moderazione e armonia interreligiosa. In questo contesto, il Ministero degli Affari religiosi ha un programma strategico di base per garantire e promuovere la “moderazione religiosa” in Indonesia, un approccio considerato fondamentale come atteggiamento e comportamento praticato nella società indonesiana.
In particolare, per la comunità cattolica in Indonesia, lo Stato, attraverso vari decreti, riconosce la Chiesa cattolica e la sua realtà come “entità giuridiche religiose”: questo status è una garanzia per tutte le attività.
(BA) (Agenzia Fides 24/08/2024)
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